"Il 25 aprile non è un monopolio culturale. E’ il patrimonio condiviso, è festa della libertà". Il discorso del Sindaco Tommaso Minervini

Il 25 aprile non è un monopolio culturale. E’ il patrimoni...

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Di tutte le feste nazionali quella del 25 aprile è la più bella, perché è quella di popolo, quella fondante la nostra Repubblica con tutte le sue Istituzioni, la sua vita i suoi valori. E’ la più bella perché porta in sé una definizione bellissima e importante: è la Festa della Liberazione. È la Festa per la Libertà.

Ed è la festa di tutti. Di tutti gli italiani e non di una parte sola. Perché alla Liberazione contribuirono gli italiani di ogni credo politico improntato alle idee di democrazia e di libertà – e non solo di una parte. Il fascismo, come il nazismo e tutte le altre dittature sono portatrici di un’idea politica che annientano la libertà dell’uomo e la sua dignità. Tutte le dittature quelle nazifasciste e quelle comuniste.
Il 25 aprile non può che essere una celebrazione, ricca di tante e diverse sensibilità e culture perché sancisce la vittoria del pluralismo contrapposto al pensiero imposto con la forza di pochi al popolo, come fu la dittatura fascista.

La Resistenza, così come il Risorgimento, devono dunque rappresentare un patrimonio nazionale di valori antifascisti. La Costituzione è antifascista nella radice e nel fondamento. Nasce dall’antifascismo che fu una lotta di popolo, senza contrapposizioni politiche o ideologiche. Appartiene alla sinistra di allora PCI, PSI, Partito d’Azione, così come al centro allora rappresentato dal Partito Popolare poi Democrazia Cristiana, così come alla destra liberale, che sin dal gennaio del 1925, come Partito liberale italiano, passò all’opposizione di un governo del quale denunciava la volontà di sopprimere le libertà costituzionali e la voce del Parlamento.

La storia, poi, ricorda che i liberali italiani furono parte attiva del Comitato di liberazione nazionale sin dalla sua costituzione: fu Leone Cattani a essere delegato in rappresentanza dei Gruppi di ricostruzione liberale a stringere l’accordo di Milano del 4 luglio 1943, dove assieme a Riccardo Lombardi per il partito d’Azione, Concetto Marchesi e Geimonat per i comunisti, Mentasti per i democristani, Pertini e Veratti per i socialisti, furono gettate le basi per la costituzione del Cln.

L’idea della Resistenza nasce come idea plurale, fatta non solo dai partigiani — di ogni fede politica — ma anche dai militari (furono oltre 650mila deportati nei campi di concentramento e 50 mila militari non tornarono più). Ricordo tra quelli che ho conosciuto e che fortunatamente tornarono, il finanziere Alfonso Mezzina e Onofrio Bufi a lungo presidente dell’associazione reduci di Molfetta e tanti altri alcuni recentemente scomparsi. Dai carabinieri (Salvo D’Acquisto, uno dei più significativi esempi di sacrificio per la verità e la giustizia), dai religiosi (don Pietro Pappagallo di Terlizzi insieme al nostro capitano Manfredi Azzarita), dagli ebrei, e dalle donne: moltissime donne, operai, contadini, molti studenti. Ricordo tra questi Carmine Spadavecchia (carminuccio che spesso mi ha raccontato di quella giornata).

E’ triste vedere come col passare degli anni e quest’anno in particolare, la memoria della Resistenza è stata tristemente «partitizzata», ritenendo in modo antistorico e illegittimo che la Resistenza sia di una sola parte e non di tutte le forze democratiche. Una modalità figlia di un relativismo malato, se non peggio, di piccina e preconcetta opposizione provincialistica, dettata più da istinto di fazione che da ragionamento e responsabilità politica generale.
Così facendo si deforma, anzi si mistifica, l’obiettivo della festa di liberazione che deve essere con chiarezza il ribadire il sacrificio di milioni di donne e uomini, civili e militari che hanno combattuto la guerra di liberazione e quella di Resistenza per la democrazia, la libertà e la Costituzione repubblicana. Non si può far scadere a rappresentazione faziosa.

Al 25 aprile partecipano tutte le Istituzioni civili, militari, le associazioni combattentistiche e soprattutto i cittadini senza distinzioni di partiti con l’unica chiara distinzione: da una parte la democrazia e la libertà dall’altra le dittature. E ringrazio i giovani, gli studenti che sono protagonisti del senso di questa storica cerimonia, fondante la democrazia e la libertà italiana. Ed allora, da pacifista, libertario e democratico, ben dentro i valori fondanti le democrazie di tutto il mondo, posso con orgoglio dire di sentire, certamente e senza dubbio alcuno, che questa festa è la nostra festa, è quella piazza, è quella delle istituzioni è quella dell’unità di popolo. Questa è la casa è la festa consapevole di tanti sacrifici e tante lotte che hanno portato alla democrazia e della libertà. E’ la festa che deve ricordare alle donne e uomini di oggi, alle Istituzioni, a tutti i partiti e gruppi politici che quel sacrificio e quella unità di popolo abbiamo il dovere di saperla custodire e praticare per tramandarla alle future generazioni.

E’ il 25 aprile che ricorda alle istituzioni militari di garantire ogni giorno la sicurezza ai cittadini, di garantire ai suoi cittadini i diritti umani e civili. E non solo ai cittadini ma ad ogni essere umano.
Per questo abbiamo il dovere dell’accoglienza di ogni essere umano che fugge dalle dittature e dalla privazione dei diritti umani. La legge dell’uomo e del mare impone di salvare ogni essere umano che si trovi in difficoltà.
Abbiamo il dovere di contribuire alla pace ovunque questa sia violata da qualunque dittatura.
Abbiamo il dovere di contribuire allo sviluppo, al progresso, a creare posti di lavoro, ai diritti civili in dosi mai conosciute prima. L’art. 1 della nostra Costituzione recita “L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Perché è bene ricordarcelo: la nostra Repubblica, la nostra democrazia compiuta è ancora giovane: ha appena 78 anni di vita, un periodo brevissimo per le pagine della Storia. Il nostro 25 aprile è la pagina eroica di una nazione intera che si sta ancora costruendo attraverso un percorso più complicato rispetto ad altre nazioni. Per questo deve essere, ricordare e agire, sempre, in quello spirito di unità che consentì la Resistenza antifascista e la sconfitta delle dittature nazi fasciste.

E in questo dobbiamo rinsaldare i vincoli di sussidiarietà e di aiuto nelle comunità originarie, nei Comuni. I comuni hanno oltre mille anni di storia diversamente dallo Stato Italiano (78) e dalle Regioni (50). Questo si sta completamente dimenticando nel furore revisionista burocratico amministrativo che vorrebbe portare al ridimensionamento di fatto dei comuni, a favore di una sempre più accentuata autonomia regionale assolutamente deviante dai reali bisogni dei cittadini, oltre che a contrapposizioni devastanti tra le regioni, minando l’unità dello Stato tanto voluto nel Risorgimento Italiano e nella Guerra di Liberazione. Nei Comuni il vincolo della solidarietà è immediato, l’istituzione comunale è quella più prossima, vicina al cittadino per questo il cittadino chiede al Sindaco ogni cosa ed attribuisce ad esso ogni responsabilità. Il Sindaco non può dire “questo non mi compete”, anche se è vero. Perché il cittadino identifica il Sindaco con lo Stato, con le Istituzioni.
E’ ai comuni che bisogna guardare per una vera autonomia e capacità di intervento reale nella vita dei cittadini, oggi spogliati dagli interventi in materia di sanità, di sicurezza e non solo ormai deprivati di ogni potere reale per il soverchiante potere burocratico regionale che pervade ogni attività pubblica dei comuni.

La storia italiana è fatta dalla genialità e dall’umanità della sua gente. Una genialità che si è espressa in un patrimonio artistico più grande di quello di tutte le altre nazioni messe assieme e di un’umanità che si è tradotta in capacità di sacrificio e di lungimiranza.
Nella nostra Molfetta abbiamo dimostrato, nella lotta contro il coronavirus, attraverso l’inesauribile forza unitaria del corpo sanitario (medici, infermieri, operatori), dei volontari, del mondo della scuola, delle forze dell’ordine e dell’intero apparato comunale un impegno indefesso di tanti volontari che hanno profuso energie pagando anche un caro prezzo in termini di vite umane.
Ecco è stato possibile anche, nella Città, soltanto per quel vincolo profondo di sussidiarietà e di reciproco aiuto, attuabile solo nelle dinamiche di vicinanza e sensibilità umana possibile solo in una Città, in un Comune.

Ecco perché il 25 aprile deve costituire il momento in cui si mettono da parte le differenze ideologiche e politiche e si pone l’accento sui valori comuni della Resistenza, quale modello di riferimento importante e valido ancora oggi.
È la data simbolo della partecipazione italiana alla guerra degli Alleati per la liberazione del Paese dal nazifascismo. E poiché la liberazione è avvenuta propugnando gli ideali comuni della libertà, della democrazia e della giustizia sociale, non dobbiamo rinunciare a nessuno di questi valori, essi ci appartengono, al di là e al di sopra di ogni schieramento partitico, perché essi sono ancora attuali, perché essi sono ancora da difendere da pericolosi tentativi illiberali e antidemocratici sempre in agguato.

La bandiera che sventolava il 25 aprile del 1945 era il tricolore: quella che alle origini era la bandiera solo degli italiani che si riconoscevano nei valori di libertà e di democrazia, lanciati a suo tempo dalla Rivoluzione francese, allora una minoranza, all’alba della Repubblica diventa il simbolo di unione di un popolo intero: cattolici e laici, meridionali e settentrionali, comunisti e anticomunisti, liberali e democratici. Bandiera emblema di unità, perché l’Italia tutta fu quel giorno “liberata”.
E il nostro tricolore deve essere ancora oggi l’unica bandiera che deve sventolare nella ricorrenza della Liberazione. Insieme a quella per la pace. Nessun altro simbolo, nessun’altra bandiera può trovare posto in questo giorno: non simboli di parte, non simboli liberticidi, non inni che inneggiano a idee che nulla hanno a che fare con la Liberazione.

Il 25 aprile non è un monopolio culturale. E’ il patrimonio condiviso, è festa della libertà. Perché solo così deve essere celebrato, perché questo deve essere l’unico modo per festeggiare pienamente la liberazione, la festa condivisa dedicata ai partigiani di ogni colore, ebrei, antifascisti di ogni tempo, in nome della democrazia e della libertà.

Continuiamo, dunque, a festeggiare il 25 aprile facendo sentire la presenza unitaria delle istituzione ai cittadini, nel dovere morale che tutti noi abbiamo di custodire le nostre città e la nostra Italia L’ Art. 5 della Costituzione recita “La Repubblica, una e indivisibile. Riconosce le autonomia locali, nei Comuni, provincie e regioni ma nell’ambito dell’Unità dello Stato”.
Ogni 25 aprile siamo chiamati a dare conto ai milioni di morti per la nostra democrazia e libertà.
La libertà come diceva un giurista cattolico liberale del 900 è connaturata alla responsabilità. Non vi è libertà senza responsabilità come non vi è responsabilità senza libertà.
Per questo richiamo forte a tutte le Istituzioni, a cominciare da quella che io rappresento e a tutte le altre operanti nella città, ai partiti e movimenti politici e a tutti i cittadini: siate responsabili, comportatevi in ogni azione con responsabilità perché solo col responsabilità individuale è possibile assicurare la libertà di tutti e ricordare, con onore, quella generazione che ha combattuto con le armi e senza le armi per dare a noi e alle generazioni future una vita democratica e libera.

Concludo augurando a tutti che il 25 aprile sia giorno di energia vitale collettiva, sia trasmissione di impegni civili e istituzionali da trasmettere. Solo così onoriamo davvero i nostri nonni e i nostri padri che ci hanno consentito la strada della libertà.

Tommaso Minervini
Sindaco

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